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Sono tutti bulli? «Stiamo attenti a creare mostri»

di Maria Grazia Piccaluga
Due psicoterapeuti analizzano il problema con qualche consiglio per genitori e adulti.-
PAVIA. Un ragazzo su tre, tra gli 11 e i 19 anni, ha dichiarato di aver subìto atti di bullismo. Il 35% nel 2016 contro l’8% di quattro anni prima. Lo rivela un’indagine Doxa Kids. Numeri che non lasciano indifferenti.
«I dati in nostro possesso parlano invece di una diminuzione del fenomeno – replica la psicoterapeuta Virginia Suigo, socia della Fondazione Minotauro di Milano impegnata nell’attività clinica con adolescenti e adulti. Cala, in particolare, la violenza minorile: furti, spaccio di stupefacenti. Sul bullismo invece è necessario un distinguo: va detto innanzitutto che le nuove tecnologie rendono tutti più facilmente esposti alla violenza. Ma non si deve correre il rischio di fare di tutta l’erba un fascio perché ciò genera solo grande allarme sociale senza affrontare seriamente il problema. Bullismo finisce così per essere un termine generico che racchiude una serie di questioni, le più diverse, che a volte poco hanno a che fare con il problema».
Come distinguere allora contrasti tipici dell’adolescenza da vere vessazioni?
«Il bullismo ha caratteristiche specifiche, come un atteggiamento prevaricatorio ripetuto, una vittima precisa individuata come debole e soprattutto richiede un pubblico, i compagni o gli amici. Spesso alla base dei comportamenti trasgressivi degli adolescenti - escludendo i veri atti di bullismo ovviamente - ci sono tentativi, sani e orientati al futuro, di acquisire un’identità adulta, di essere riconosciuti come persone, maschi o femmine, dotati di valore. Tentativi che vengono però messi in campo con modalità rischiose e disfunzionali, perché rischiano di produrre un effetto opposto a quello cercato».
In genere creano preoccupazione tra gli adulti
«Legittima. Ma gli adulti dovrebbero riuscire a mantenere un ruolo autorevole che rischia al contrario di venir meno quando si mostrano eccessivamente allarmati e preoccupati. I ragazzi hanno bisogno di crescere in modo sereno».
E cosa dovrebbe fare un genitore quando si accorge che il figlio è vittima dei bulli?
«Prima dobbiamo interrogarci su come viene a conoscenza della cosa. A volte lo scopre sbirciando nel cellulare o sui social, protetti da password inaccessibili. In quella dimensione l’immagine che i ragazzi danno di sé è diversa, spesso deformata rispetto alla realtà. Quando i genitori si accorgono si spaventano e non sempre gestiscono bene la situazione. La cosa viene ingigantita, vengono coinvolti la scuola, altri genitori, i compagni, e alla fine si genera una situazione di forte angoscia e diventa difficile esercitare un’azione critica corretta. Bisognerebbe abbassare i toni. Non c’è poi cosa peggiore dell’etichettamento, identificare un ragazzo come bullo non è mai una buona idea perché alla fine si convince di essere destinato a quel ruolo. E aumenta la possibilità di reiterazione del comportamento».
Il ruolo del genitore non è mai facile dunque.
«I ragazzi dovrebbero potersi rivolgere agli adulti quando c’è qualcosa che li preoccupa. E’ quindi importante instaurare un rapporto di fiducia, fare in modo che i figli possano affidarsi ai genitori».
Che poi bullo e vittima sono, seppur agli estremi e in modi diversi, persone fragili.
«Certamente. Il bullo inteso come categoria è, paradossalmente, un elemento fragile, incapace di attendere ai compiti della vita. Questa insoddisfazione finisce per esacerbare una situazione già difficile».
Forse un’alleanza tra la scuola e la famiglia sarebbe utile.
«E’ un tema da approfondire, il rischio è che diventi un argomento astratto, difficile da tradurre in pratica. Gli insegnanti spesso sono impauriti dalle denunce, viene messo in discussione un ruolo che in passato era garantito».
Castighi e rimproveri servono ancora?
«Pochissimo. I ragazzi se li fanno scivolare addosso. Sono capaci di proteggersi. Ma sono anche capaci di essere propositivi se vengono coinvolti nelle decisioni familiari che li riguardano. Più che trattarli da selvaggi da rieducare sarebbe meglio decidere insieme le regole comuni, anche se poi vengono disattese. Sarebbe comunque utile responsabilizzarli».
da www.laprovinciapavese.it
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